Non solo Venture Capital
Come scritto in articoli precedenti, la Camera di Commercio Italiana per la Svizzera (www.ccis.ch) si propone nei prossimi mesi di avviare attivamente un lavoro di attrazione di investimenti finanziari svizzeri su innovazione tecnologica italiana. Il lavoro verrà strutturato secondo il format di Made Innovitaly già più volte illustrato (https://www.youtube.com/watch?v=rWTOr9gFWL4&t=2s) che rivolge le sue attenzioni alla selezione di realtà in start-up e scale-up in Italia allo scopo di aprire loro dei canali per entrare in contatto con potenziali investitori svizzeri: prevalentemente società di Venture Capital e network di venture capitalist che operano nella Confederazione.
Tuttavia l’evoluzione del mercato nel senso di una crescente esternalizzazione dei processi di R&D all’interno delle aziende, il moltiplicarsi di incubatori e acceleratori che prima ancora che avere come priorità quella di cercare fondi, si pongono l’obiettivo di far crescere le realtà incubate o in accelerazione attraverso il network ed infine il prevalere di una metodologia di innovazione che parte da bisogni di mercato ben incastonati nei processi industriali che cercano attivamente soluzioni concrete a breve e velocemente scalabili, ci porta a ritenere che un ruolo crescente della Camera impegnata su questo fronte possa essere quello di innescare dei processi di investimento in Italia attraverso la open innovation.
La open innovation
L’idea della open innovation è quella di portare velocemente sul mercato delle soluzioni tecnologiche commisurate alle reali ed immediate esigenze delle aziende. Il processo prevede che le aziende invece di sviluppare (solo) al proprio interno attraverso i propri dipartimenti di R&D l’innovazione funzionale allo sviluppo aziendale, deleghino all’esterno tali processi attraverso gare (un esempio nel mondo del digitale sono gli Hackathon) indette da loro stesse o partecipando con altre aziende a finanziare delle competition nazionali o internazionali che attraggano e stimolino gli innovatori a fornire le soluzioni ricercate in un determinato settore.
Note in Svizzera sono della realtà di incubazione in cui lavorano degli spin-off di grandi aziende che sviluppano per mesi tecnologie di frontiera su incarico e con finanziamento delle stesse aziende committenti.
Gli innovatori operano in ambienti aperti e condivisi in cui si presuppone che i benefici dello scambio e del brain-storming superino gli svantaggi della concorrenza e del rischio di veloce replicabilità da parte di altri dell’innovazione su cui si lavora.
In che modo questo processo può generare attrazione di investimenti in Italia?
Il processo parte da una sistematica mappatura delle esigenze dell’industria nazionale per identificare dei concreti bisogni. È facile immaginare che in questi mesi le esigenze più impellenti siano collegate al risparmio energetico, alle interruzioni nella supply chain, alla ricerca di soluzioni per garantire igiene e distanziamento in presenza di nuove ondate pandemiche, al rafforzamento della presenza sui canali di E-commerce a livello internazionale.
All’identificazione del bisogno dovrebbe seguire la mappatura di possibili soluzioni nell’ecosistema innovativo del Paese; è tuttavia ipotizzabile che una ricerca allargata agli ecosistemi di altri paesi produrrebbe effetti molto più immediati e risposte celeri a i problemi delle aziende.
La conseguenza virtuosa di questo processo è che start-up tecnologiche internazionali invitate a dialogare con le aziende italiane per offrire soluzioni innovative ai loro bisogni, se selezionate, decidano conseguentemente di aprire una unit in Italia e magari di spostare nel nostro Paese parte delle loro attività di ricerca e sviluppo per aumentare il grado di customization e risposta alle esigenze impellenti dei clienti italiani.
La chiave quindi starebbe nel fare del nostro Paese non solo un produttore di innovazione che cerca mercato altrove, ma anche un mercato interessante per attirare innovazione (e investimenti) da altri Paesi.
Noi crediamo in realtà che l’Italia sia già interessante da questo punto di vista visto il peso della sua manifattura nel Mondo e la sua forte esposizione a processi competitivi di esportazione che la costringe ad innovare per competere.
L’accesso quindi a input esterni, anche internazionali di innovatori in grado di offrire soluzioni ai problemi competitivi esistenti, darebbe certamente una spinta ai processi di internazionalizzazione favorendo l’export ed al contempo attirando innovazione nel Paese.
L’Emilia Romagna lo sta già facendo
La dimostrazione che si possa fare e che questo abbia effetti virtuosi, sta nel successo della manifestazione “Match-ER” (https://www.match-er.com/) patrocinata dalla Regione Emilia Romagna che da anni sperimenta proprio questo modello basato su:
- mappatura dei bisogni dell’industria locale;
- ricerca di soluzioni in Italia e all’estero;
- accompagnamento delle start-up di tutti i paesi al dialogo con la nostra industria;
- incentivazione degli insediamenti.
E la Svizzera?
In un’ipotetica attività di questo tipo il mercato svizzero, per la sua vicinanza ma soprattutto per la densità altissima di ricercatori italiani formatisi nei politecnici di Losanna e Zurigo e diventati poi founder a loro volta, si candida ad essere il target nr 1 di attività di scouting e selezione di soluzioni innovative da importare in Italia. Coinvolgere poi in questa selezione i founder italiani stabilitisi in Svizzera potrebbe rendere più facile superare le ritrosie a realizzare investimenti in Italia legate alla scarsa reputazione del nostro Paese come luogo dove fare business. La leva emotiva del “give back”, del restituire qualcosa al paese che ti ha formato per poi lasciarti andare all’estero a cogliere opportunità migliori, potrebbe innescare interessanti meccanismi di rientro degli investimenti e forse anche dei cervelli, almeno in termini di know-how transfer collegato alle innovazioni sviluppate all’estero.
La Camera di Commercio Italiana per la Svizzera grazie al suo forte radicamento sul territorio elvetico e la sua conoscenza delle reti anche di ricercatori e innovatori, si candida ad essere tramite di questi processi, magari attraverso un progetto pilota con la Regione Emilia Romagna nell’ambito di “Match-ER”.
Dal Rinascimento alla open innovation
Il nostro Paese ha da sempre prodotto talento e cervelli, quello che ha perso rispetto ai fasti del passato è la capacità di incoraggiarli al rischio e di attrarli in Italia.
Nella Firenze dei Medici, patria del Rinascimento, capitale economica d’occidente nel 15esimo secolo, madre della lingua italiana e custode della bellezza artistica più pura che il Mondo conosca la società era basta sul merito e sul talento. Le arti e i mestieri e le botteghe formavano una cittadinanza attiva plasmata sui valori del lavoro ben fatto e della voglia di eccellere. Le banche fiorentine che prestavano denari a imprenditori e stati in tutta Europa finanziavano opere d’arte, ma anche opere di utilità pubblica accomunate da un gusto impareggiato nella storia dell’uomo per il bello e per la perfezione.
Leonardo Da Vinci disse: “Tristo è quel discepol che non avanza il suo maestro” e Galeazzo Maria Sforza ospitato dai Medici a Firenze nel 1457 d fronte a tanta bellezza e fervore artigiano e artistico disse: “Con il sol denaro è impossibile fare tutto questo”.
Le risorse finanziare non mancavano grazie al sistema bancario ed al mecenatismo, ma queste da sole non avrebbero potuto molto senza un’idea di come impiegarle nell’economia reale e anche per il bene comune.
L’open innovation è proprio questo: offrire idee concrete di utilizzo e risorse finanziarie ad innovazione magari latente ma che ancora non è stata in grado di esprimersi per mancanza di contatto con il mercato e quindi di idee di applicazione concreta: per mancanza di network come si direbbe oggi.
Conclusione
Il parallelo con la Firenze del Rinascimento ci suggerisce anche che il meccanismo della open innovation potrebbe essere strumento non solo per aumentare la competitività del sistema industriale del Paese ma anche un modo per migliorare la nostra società, renderla più efficiente e sostenibile.
Anche gli enti pubblici infatti potrebbero farsi promotori e selezionatori di innovazione utile al bene comune e non solo alle imprese. Innovazione che vada ad esempio nella direzione della difesa delle risorse strategiche come energia e acqua.
In questo senso dalla Svizzera l’Italia potrebbe senz’altro importare interessanti best practice legate alla sostenibilità (dai trasporti al decoro dei centri urbani, ai legami tra ricerca e industria).

